In questi mesi la frase più ricorrente nel mondo dell’auto suona più o meno così: «L’automobile cambierà nei prossimi 5 o 10 anni più di quanto non sia cambiata negli ultimi 20 (o 30 o 50). L’hanno pronunciata molti Ceo (da Rupert Stadler di Audi a Mary Barra di Gm) e tantissimi top manager.
In realtà, non si sa chi l’abbia detta per primo, ma è certo che l’affermazione è vera, in barba ai tanti guru dell’hi-tech che non più tardi di due anni fa dicevano che l’evoluzione dell’auto era su un binario morto. Si sbagliavano, siamo di fronte a grandi cambiamenti: auto che guidano (un po’) da sole, elettrificazione, vetture interconnesse che entrano nell’Internet delle cose aprendo le porte a nuovi modelli d’uso e servizi inediti.
L’automobile è diventata digitale. Ma attenzione a non essere preda di facili entusiasmi per ideologie tecnologiche alla moda. Occorre sempre considerare che le innovazioni non avvengono su un’unica direttrice, ma seguono strade diverse. Ai sopracitati guru della tecnologia piace tanto la parola inglese “disruptive”: hanno sempre l’idea che una nuova tecnologia sia in grado di stravolgere sempre e per sempre il mondo pregresso. È vero che molte volte è successo (con la musica digitale e la fotografia, per esempio) ma l’auto è un oggetto più complesso con dinamiche di consumo, anche “abitative” (la nostra vettura è un po’ una casa), tanto articolate che non si può ipotizzare che in futuro le auto saranno tutte in condivisione e tutte senza pilota.
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