Conversazione con Giancarlo Calzetta
Il primo obiettivo di Google non è conquistare quote di mercato (in relativa crescita dall’uscita della serie 6 ma basse, tra il 3 e il 5% in occidente, in tutto le stime dicono 10 milioni o poco più di unità vendute all’anno, contro gli oltre 250 milioni di Samsung) ma utilizzare i Pixel per testare, migliorare e diffondere il suo software nel vasto mondo Android. Cosa ne consegue?
G.C. : Google è una software house prima che un produttore di telefoni e si vede molto bene nei suoi bilanci. Ergo, è accettabile che i consumatori e utenti che acquistano un Google Pixel paghino questa strategia acquistando smartphone con un hardware meno performante al prezzo dei competitor di fascia alta, accettando l’idea che spesso il software arrivi dove l’hardware non può? Insomma, è accettabile vendere un prodotto di seconda fascia a prezzi da prima? Ovviamente no.
Perché se è vero che il primo scopo di Mountain View è quello di migliorare la piattaforma Android per renderla sempre più appetibile per i consumatori e i produttori di hardware, nel processo di sviluppo, torna sicuramente molto utile all’azienda avere una community di clienti che usano in anteprima le sue funzioni in modo da poterle rifinire e ritagliare sui loro reali bisogni.
L’idea è: mi faccio un prodotto hardware che conosco come le mie tasche perché l’ho progettato io e ci lancio le funzioni innovative prima che arrivino al grande pubblico. La risposta che ho dagli utenti è molto più semplice da leggere perché so quali sono le prestazioni del prodotto, so a chi viene rilasciato e in quale momento, so quando gli viene notificato l’arrivo delle nuove feature e così via, senza interferenze esterne tipo un vendor che ritarda di due mesi il rilascio.
Questo velocizza lo sviluppo, la fase di test, quella di valutazione dell’esperienza utente. Insomma, Google ne ha un ritorno importante per mantenere la propria leadership nel settore dei sistemi operativi per smartphone (e altri device), mentre gli utenti Pixel ne ricevono in cambio piuttosto poco. Forse troppo poco. Quando il progetto Pixel è partito, il prodotto era un valido dispositivo di gamma media prezzato in maniera ragionevole. Chi lo comprava aveva uno smartphone più che adeguato a quanto speso, con in più il vantaggio di provare in anteprima alcune funzioni. E questo aveva un senso: Google poteva contare sul contatto diretto con una community interessata a usare dispositivi di fascia media (o bassa) che è quella in cui Android gioca la parte del leone e i clienti erano contenti. Poi qualcosa si è rotto.
Comprare un Pixel oggi offre meno vantaggi che in passato non perché il livello dell’hardware si sia abbassato, ma perché hanno alzato i prezzi senza una motivazione che possa giustificarlo. A meno che non abbiano alzato i prezzi proprio perché stavano avendo troppo successo. E questo potrebbe essere un problema.
Google non è Apple: un’azienda che lavora su un limitato set di prodotti e servizi. Google è un colosso che ha già i suoi problemi con l’Antitrust e l’ultima cosa che vuole è quella di vedersi piovere addosso altre accuse. Del resto, se le hanno imposto di non promuovere i propri servizi a discapito degli altri con il suo motore di ricerca, come dovrebbero gestire l’interfaccia Android su un prodotto che inizia a pesare sul mercato?
Purtroppo, questa cosa si riflette negativamente sul progetto originale: gli acquirenti adesso non sono più quelli che puntavano a un prodotto di fascia media e, secondo me, Google dovrà usare di più il feedback delle versioni precedenti che non quello delle nuove versioni, di cui si prevedono vendite limitate. Riassumendo: questi prezzi sono un male per gli utenti, ma anche per Google. Vedremo cosa succederà con il Pixel 10, ma il 9 (in tutte le sue versioni) è secondo me un passo falso.
Aggiungo una riflessione a margine: ricordiamoci che i Pixel sono in pratica l’unica vera alternativa a Samsung, se si vuole uno smartphone fuori dal controllo cinese. Quindi, se non ti piacciono per un motivo qualsiasi i prodotti della casa coreana, o vai su proposte esotiche o non c’è nient’altro.
Ha senso promettere 7 anni di OS se poi le memorie UFS montate sui Pixel 9 hanno una tecnologia del 2020?
G.C. : In realtà sì, sempre in ottica di gestione dell’ecosistema Android. Non sarà l’utente ad averne un vantaggio, ma la parte degli IoT, quei dispositivi che devono funzionare per svolgere piccoli compiti, come tablet o totem informativi nei negozi, centraline di gestione domotica e così via. Comunque ci sarà gente che tirerà avanti cinque anni con lo stesso Pixel relegandolo a compiti man mano meno impegnativi e quelli saranno tutti dati che Google mette “in cascina” per ottimizzare l’uso di Android in ambiti diversi da quelli prettamente da smartphone, da usare tutti i giorni.
I consumatori europei continuano a scegliere in stragrande maggioranza Samsung (che oltretutto offre alcune features software di Google, vista la partnership), i marchi cinesi (Xiaomi e i suoi sub-brand su tutti) e ovviamente il mondo iPhone. Che conclusione ne possiamo trarre?
G.C. : Ne traiamo la conclusione che mentre molti di noi vedono Google come il colosso delle ricerche e degli smartphone, in realtà è un’azienda che ha un respiro molto più ampio e sfrutta la sua enorme capillarità per raggiungere ogni tipo di utenza, mirando anche molto lontano da quelle più ovvie. E’ giusto procedere così? Per quanto possa essere seccante nei confronti degli utenti, sì.
Del resto siamo noi ad avere in mano la decisione finale. Se la nuova serie Pixel non ci convince, non la compriamo. Non abbiamo alternative valide per accedere a tecnologie che vorremmo sfruttare? Questo è un problema che potrebbe esser dettato dalle politiche di Google, che non rende abbastanza competitivo lo scenario degli smartphone per le aziende occidentali, ma non potrebbe essere anche questo uno dei punti che verranno toccati dalle future operazioni dell’antitrust Usa, che hanno dichiarato Google “monopolista di fatto”?