Samsung è in discesa, non è in declino ma deve fare ordine nel suo catalogo

È una trimestrale di quelle difficili. Ma si sapeva da un mese che sarebbe arrivato uno tsunami nei conti di Samsung Electronics. I dati sono negativi, ma è quanto meno fuorviante nonché prematuro ipotizzare guai seri o addirittura il  declino per il colosso asiatico che non è in rosso, ma ha ridotto il proprio profitto.

Nel terzo trimestre dell’anno, la multinazionale coreana ha registrato un utile netto in  calo del 48,8% a 4.220 miliardi di won (cioè 4 miliardi di dollari), rispetto allo stesso periodo del 2013. Si tratta del ribasso più forte mai registrato dal gigante sudcoreano dal quarto trimestre del 2011. L’utile operativo del terzo trimestre è stato pari a 4.060 miliardi di won, in calo del 60% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il giro d’affari è diminuito del 20% a 47.400 miliardi di won.

In discesa, raffrontando i risultati anno su anno per trimestri corrispondenti,  soprattutto il business della divisione mobile, quella che produce e commercializza smartphone e tablet e che ha generato 1,75 mila miliardi di won, in calo del 6,7% rispetto allo scorso anno. È un valore che è circa un terzo rispetto ai 4.4 mila miliardi di won del secondo trimestre.

In calo (-15%) anche le vendite della divisione mobile in termini di fatturato che passano da 35,66 mila miliardi di won agli attuali 23,52 mila miliardi. Ma non solo: la divisione mobile generava nel primo trimestre il 76% del profitto operativo nel primo trimestre e ora pesa per circa il 46 per cento.

E questo è un dato preoccupante e che spinge a fare qualche riflessione. In primo luogo in questa area, come è noto, Samsung compete con Apple, che è capace di generare più margini degli altri attori dell’industria elettronica di grazie a un mix di fattori che spaziano da un marketing con riflessi religiosi al fenomeno mediatico fino al controllo di una tecnologia che permette di creare prodotti con componenti più economici degli competitor, venduti ad alto prezzo, con maggiore margine e senza disagi in fatto di prestazioni. Samsung, ma il discorso vale anche per Lg e per altri, invece non controlla hardware e software in modo proprietario come fa Apple che riesce così a ottenere prestazioni elevate con risorse hardware più modeste. Un esempio? Il nuovo iPhone 6 ha 1 GB di memoria Ram, mentre il nuovo Note 4 ne vanta 3 GB (e servono tutti per far viaggiare un software perfomante ma pensante come Android (made in Google) infarcito di funzioni specifiche  che servono per fare la differenza rispetto ai competitori. E questo costa.

Samsung, nonostante produca semiconduttori (memorie comprese e display) si trova invece ad avere nella fascia alta prodotti che costano in termini di componenti di più di quelli Apple. E questo avviene anche perché Samsung di volta in volta introduce costose funzioni (come i comandi gestuali) che costano tanto e dovrebbero servire a creare un effetto Wow, ma in realtà sono poco utili  e infatti ultimamente sono state eliminate.

Non va dimenticato che a casa di Cupertino non offre come quella coreana una moltitudine di modelli di smartphone, ma è concentrata sulla fascia alta dove i margini sono più alti, con due sono i modelli di iPhone, (erano il 5S e il 5C ora sono il 6 e il 6 Plus) .

Samsung invece ha un catalogo troppo ampio, disordinato e per molti versi incomprensibile. Ci sono i top di gamma come i Galaxy S5 (le cui vendite non sono andate come ci si aspettava anche complice anche finiture e design), poi ci sono i phablet serie Note. E fin qui il discorso sta in piedi, ma poi nel ricco catalogo è tutta un’esplosione di nomi e nomignoli che spaziano da Trend a Ace, da Core a Young, fino a Pocket e a Express. Sono decine di modelli le cui peculiarità e differenze sono pressoché incomprensibili e che creano una confusa frammentazione di versioni di sistemi operativi e di componenti. Per non parlare poi dei modelli contrassegnati con il suffisso “Neo”  che nel caso del modello Note 3 Neo significa “modello Note economico e con prestazioni inferiori rispetto al Note 3 “normale”, mentre nel caso del modello S3 Neo si traduce con “smartphone ex top di gamma aggiornato e con software nuovo e hardware potenziato”. Insomma un grosso casino.

Occorre fare ordine, perché un catalogo del genere vuol dire enormi costi industriali, oneri spaventosi per gestire la complessità e anche governare il marketing di decine di modelli di fascia media ed economica. Ed è proprio qui che Samsung perde terreno e subisce soprattutto la concorrenza dei prodotti (soprattutto medi ed economici) della connazionale Lg e soprattutto dei leader cinesi Xiaomi e Huawei.

Samsung, dunque, non combatte con fuoco concentrato su pochi bersagli ma spara con tutti i cannoni in ogni direzione e cosi riesce addirittura a farsi concorrenza da sola. Perché uno dovrebbe acquistare un Galaxy S5 a 700 euro (o un Alpha in metallo) se il “vecchio” e performante S4 (il top di gamma di un anno fa) è ancora in listino,  costa ala metà e offre in partica le stesse funzioni? Una domanda alla quale i concorrent hanno risposto evitando di tenere in vita i “vecchi” modelli e riducendo la gamma d’offerta con benefici in termini di costi complessivi (manuali di istruzione compresi e oneri legati agli aggiornamenti).

Samsung, detto questo non è in declino e non rischia di fare la fine di Nokia anche perché ha dimensioni industriali enormi, è una dei tre pilastri della Corea (gli altri “chaebol” sono Hyundai ed Lg), ma è è la seconda azienda al mondo per numero di brevetti. E fare ricerca e sviluppo costa tanto. Ma non solo: è attiva in settori che spaziano da quelli più visibili come gli smartphone e i tablet a quelli invisibili come i semiconduttori, dai televisori, ai dispostivi indossabili come gli smartwatch, dai monitor al bianco con lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi fino alle macchine fotografiche digitali e ai personal computer. È erroneo e fuorviante analizzare i risultati di Samsung solo alla luce della competizione con Apple che incide ma solo per una parte che è importante ma non dà il quadro complessivo.

Ritornando all’erea “mobile” Samsung, secondo le ultime rilevazioni di  Strategy Analytics, con 79,2 milioni di pezzi venduti nel terzo trimestre del 2014 è il primo produttore al mondo di smartphone con un market share del 24,7% in calo rispetto a un anno fa quando la coreana vendette 88,4 milioni di device conquistando un market share del 35 per cento. Apple invece cresce passando da 33,8 a 39,3 che rappresentano un market share del 13,4%. Esplosiva la crescita di Xiaomi che semisconosciuta è balzata sulla scia del boom asiatico-cinese a a 18,1 milioni da 5,1 conquistando il 5,6% dell’intero mercato. E non va dimentica Lg, che come Samsung è un chaebol della tecnologia attivo in molti settori ed è uno dei concorrenti più tosti. È al terzo posto con 16,8 milioni di unità vendute contro i 12 milioni di pezzi dell’analogo terzo trimestre 2013. Lg ha il 5,2% di market share e il successo si chiama G3, smartphone, anzi phablet da 6,5 pollici che per la coreana rappresenta la svolta per qualità e prestazioni, un po’ come fu il Galaxy S3 per Samsung due anni fa. In ultimo Huawei che controlla il 5,1% del mercato globale con 16,5 milioni di pezzi contro i 12 milioni del terzo trimestre 2013.

Ora il gioco dunque si fa duro perché con iPhone 6 e iPhone 6 Plus Apple è entrata a gamba tesa nel segmento degli smartphone grandi e dei phablet (area di mercato inventa da Samsung con la serie Note nel 2011) andando a competere con i modelli flagship della casa coreana giocando una partita che vede Apple inseguitrice per quanto riguarda le dimensioni degli schermi, ma in grado di vincere la partita perché in fondo Cupertino, che ha anche una più efficiente gestione delle spese di marketing e di pubblicità grazie a “facilitazioni” mediatiche che derivano dal fatto di avere schiere di utenti-seguaci, genera meccanismi di acquisto più simili a quelli dell’industria della moda (con i margini che ne conseguono) che di quella dell’elettronica e dell’hi-tech, come testionia anche la recente acqusizione di Beats by Dr. Dre. E spesso succede il pubblico percepisca Apple come innovatrice sempre e comunque anche quando non lo è o quando addirittura resta indietro. Ma anche questa è bravura.

Per i prossimi trimestri Samsung giocherà la carta dei display che avvolgono i lati dello smartphone (come nel debuttante  Note Edge) e degli smartwatch, segmento di mercato dove Samsung gioca una partita da pioniere da oltre un anno ma i risultati non sono eclatanti, mentre Apple sta per arrivare con il suo smartwatch e, forte delle sue abilità nel conquistare lo “spazio – moda” rischia di creare nell’industria degli orologi il più grande terremoto dai tempi del quarzo e dei display digitali.