Pixel 10

Google Pixel 10: ecco i pro e i contro. Foto, batterie, AI

Sempre più riconoscibili con il loro design iconico, costruiti per sorprendere più con il software che con la potenza dell’hardware. I nuovi Pixel 10 e Pixel 10 Pro presentati il 20 agosto durante l’evento “Made by Google 2025” confermano al 100% la filosofia di Mountain View. A colpo d’occhio, le differenze con la serie 9 sono trascurabili (fatta eccezione per alcune colorazioni vivaci): le linee sono identiche, le dimensioni variano di pochi millimetri e l’unico dettaglio percepibile è un leggero aumento di peso. Una continuità che può sembrare conservativa, ma che nasconde sotto la superficie le scelte tecniche destinate a incidere sul modo in cui il telefono viene usato e percepito nel tempo (sono garantiti aggiornamenti per 7 anni).

Il design è  quello ormai classico: solidità, materiali premium, vetro Gorilla Glass Victus 2 e certificazione IP68 contro acqua (immersione fino a 1,5 metri per 30 minuti, come i top di gamma Samsung e Apple, ma meno dei concorrenti cinesi, che offrono IP69, protezione contro getti d’acqua) e polvere. Una differenza notevole la troviamo sul display: Google porta i pannelli OLED Actua a una luminosità che supera i 3.000 nit, con frequenza di aggiornamento a 120 Hz e LTPO sui modelli Pro. Certo, è un perfezionamento più che una rivoluzione, ma contribuisce a quella sensazione di affidabilità che i Pixel hanno progressivamente consolidato.

Il cuore nascosto: memorie più performanti

Più interessante è la questione della memoria, spesso relegata a nota a piè di pagina nelle recensioni. La grande novità, secondo chi scrive: mentre smartphone di fascia media montavano già UFS 4.0, i Pixel 9 si accontentavano ancora delle UFS 3.1. Con i Pixel 10 (12 GB di RAM), il colosso californiano finalmente cancella il gap portando le UFS 4.0 su tutta la gamma. E sui modelli Pro (confermati i 16GB di RAM) introduce per i tagli maggiori e più costosi (512 GB e 1 TB, fino a 1.689 euro) lo Zoned UFS (ZUFS), un’evoluzione silenziosa che cambia l’approccio stesso alla scrittura dei dati.

Pixel 10
Google Pixel 10, Pixel 10 Pro e Pixel 10 Pro Fold durante l’evento ‘Made by Google’, organizzato per presentare le ultime novità della gamma di dispositivi Pixel, a Brooklyn, New York, Stati Uniti, 20 agosto 2025. REUTERS/Brendan McDermid

ZUFS suddivide la memoria in zone sequenziali: invece di affidarsi a scritture casuali, che consumano e stressano le celle NAND, i dati vengono ordinati e scritti in blocchi predefiniti. Cosa significa nella pratica quotidiana? App che si aprono sempre alla stessa velocità anche dopo mesi, aggiornamenti di sistema che non rallentano il telefono, foto e video che si salvano senza quei micro lag che irritano non poco se si sono spesi 900-1200 euro. È la differenza tra uno smartphone che parte a razzo e poi frena e uno che mantiene la fluidità nel tempo. Non è un guizzo da benchmark ma una tecnologia che promette affidabilità: una scelta coerente con l’idea di Google di offrire dispositivi che restino fluidi dopo anni, piuttosto che scattanti solo al lancio.

Per capirci: Pixel 10 Pro (e Pro XL) montano 16 GB di RAM, un upgrade paritetico rispetto ai 16 GB del predecessore, ora meglio supportati dal nuovo chip Tensor G5, più efficiente e ottimizzato per carichi di lavoro AI complessi. Questo abbinamento – 16 GB RAM su un’architettura con Tensor G5, Titan M2 ( il chip di sicurezza) e supporto alle nuove memorie Zoned UFS – costituisce una piattaforma più robusta e performante rispetto al Pixel 9 Pro, offrendo potenza e stabilità nel tempo.

Quindi: la RAM non è aumentata rispetto al passato, ma l’intera configurazione hardware è stata rivista e potenziata per sostenere meglio i carichi intensivi che l’AI richiede oggi (e richiederà domani).

Cosa cambia con il nuovo (atteso) chip

Al vertice del nuovo ecosistema più prestazionale c’è il molto atteso Tensor G5, il primo chip prodotto dal gigante taiwanese TSMC dopo anni di dipendenza da Samsung. A 3 nanometri, più efficiente e potente del G4, il G5 porta con sé alcune novità significative. Google ha migliorato i controlli termici hardware e software per permettere al chipset di funzionare a frequenze più elevate senza throttling, affrontando finalmente una delle critiche storiche ai Pixel.

Il G5 non punta al sorpasso sugli Snapdragon di Qualcomm nei benchmark ma a rafforzare ciò che rende i Pixel unici: l’integrazione nativa con Gemini, l’AI di Google. Magic Cue, ad esempio, non si limita a leggere passivamente i dati: se hai una riunione alle 15 e il traffico è intenso, ti avvisa alle 14.30 suggerendo un percorso alternativo, oppure se ricevi un’email con un numero di volo, aggiunge automaticamente i dettagli del gate e dei ritardi senza che tu debba aprire app separate. Voice Translate permette di parlare in una lingua e di sentirsi rispondere nella propria voce in un’altra. Camera Coach trasforma lo smartphone in un regista che suggerisce inquadrature, posizioni e modalità di scatto.

È un approccio che mette al centro non tanto i muscoli, quanto la capacità del telefono di diventare un vero assistente personale. Non stupisce che il Wall Street Journal abbia scritto che l’AI di Google oggi è “leghe avanti” rispetto a quella dell’iPhone, mentre Apple fatica ancora a proporre un Siri convincente.

Cosa non cambia: gamers delusi?

Nonostante i rumor di fine 2024 avessero fatto sperare nell’arrivo del ray tracing, Google ha confermato che anche questa volta la GPU del Tensor G5 non supporterà questa tecnologia. Una delusione per i gamer che speravano finalmente di vedere i Pixel fare un passo avanti nel gaming avanzato, restando così indietro rispetto alla concorrenza che ormai da tempo offre effetti di illuminazione realistici sui flagship.

Fotografia: tra magia software e AI estrema. E il pulsante 10x!

Sul fronte fotografico troviamo le novità che forse più interessano al grande pubblico. I Pixel sono sempre stati celebri per l’elaborazione software e per quella resa “magica” che spesso trasforma un click distratto in uno scatto da convidere. Sia chiaro, i nuovi sensori non mettono i Pixel 10 sul piano degli Oppo Find X8 Ultra o dei vivo x200 Ultra, ma Google ha finalmente osato con lo zoom, arrivando al 100×. Qui la questione si fa più complessa. L’ingrandimento, tecnicamente possibile, non è il risultato di un teleobiettivo spinto oltre i limiti (nessuno smartphone, con i suoi 8 millimetri di spessore, può competere per qualità fotografica con un teleobiettivo fisico), bensì di una rielaborazione dell’intelligenza artificiale. Android Authority lo ha definito senza giri di parole: “Non è una foto, è un’immagine generata dall’AI a partire da una foto”. Il risultato può impressionare ma, come accade spesso proprio con gli smartphone cinesi che hanno inaugurato la moda, la resa appare più vicina a un dipinto digitale che a un documento fotografico. Funziona per condividere un dettaglio spettacolare, meno per chi cerca fedeltà e precisione. In ogni caso è un bel gioco che prima sui Pixel non c’era.

Pixel 10
Un dipendente di Google presenta “Magic Cue”, una nuova funzionalità basata sull’intelligenza artificiale introdotta con la serie Pixel 10, durante l’evento “Made by Google”, organizzato per presentare le ultime novità della gamma di dispositivi Pixel, a Brooklyn, New York, Stati Uniti, 20 agosto 2025. REUTERS/Brendan McDermid

Ma la parte migliore è questa. La fotocamera periscopica dei Pixel Pro ha sempre garantito ingrandimenti 10× molto validi, ma Google aveva commesso l’errore di non renderla facilmente accessibile. Nell’interfaccia della fotocamera mancava un tasto dedicato, costringendo gli utenti a gesture macchinose per raggiungere questo livello di zoom. Con i Pixel 10 Pro, l’azienda ha ascoltato le critiche: ora basta un tocco sul nuovo pulsante 10× integrato per sfruttare rapidamente il potenziale del teleobiettivo. Un significativo miglioramento nell’usabilità.

Il compromesso ragionato delle batterie

C’è poi la questione delle batterie. Molti utenti occidentali si chiedono perché i Pixel (e non soltanto loro) non possano montare accumulatori da 6.000 o 7.000 mAh come quelli che vediamo in Cina o in India. La risposta è un mix di fattori. Le normative di sicurezza statunitensi ed europee limitano densità e dissipazione termica: una batteria più grande richiederebbe certificazioni complesse e sistemi di raffreddamento ingombranti. Infine c’è la filosofia della ricarica: i Pixel 10 si fermano a 37W cablati e 25W wireless, contro gli 80,100 o perfino 150W di alcuni brand del Dragone. È un compromesso: meno velocità, ma più sicurezza e maggiore longevità chimica della batteria. Nei mercati asiatici, dove il telefono è spesso l’unico device personale, l’autonomia estrema è una leva di marketing. In Europa e negli Stati Uniti, Google preferisce puntare sull’ottimizzazione software e sulla prevedibilità, non sui grandi numeri.

Risultato: ricarica circa il 55% in mezz’ora con cavo, un miglioramento sul 9 Pro ma ben lontano dalle performance dei campioni cinesi. OnePlus 13, ad esempio, porta una batteria più grande da 6.000 mAh dallo 0 al 100% in poco più di mezz’ora grazie ai suoi 100W. Altra differenza, la chimica della batteria: OnePlus 13 adotta una batteria silicio-carbonio, Pixel 10 Pro, invece, una tradizionale Li-Ion. Perché?

Google punta più sulla gestione intelligente dei consumi che sulla pura capacità fisica. È lo stesso approccio di Apple e Samsung: preferire batterie più piccole ma integrate in un ecosistema ottimizzato, piuttosto che inseguire numeri da specifiche wow. In questo senso, le ricariche da 30-40W dei Pixel sono coerenti con la scelta: meno stress termico, chimica più stabile, durata maggiore nel tempo.

In ogni caso, per chi ricorda le pessime prestazioni delle batterie di serie precedenti, la promessa è di una durata superiore alle 30 ore contro le 24 della serie precedente. Il Tensor G5 dovrebbe fare la sua parte.

Una scommessa diversa

Nonostante questa sobrietà progettuale, i Pixel hanno guadagnato una nicchia fedele. In Europa sono intorno al 3-5% di quota di mercato a seconda dei Paesi, numeri piccoli rispetto al duopolio Apple-Samsung, ma in crescita. La vera domanda è se la serie 10 possa convincere utenti che oggi usano un iPhone o un Galaxy top di gamma a cambiare bandiera. La risposta non è semplice. Chi è legato a un ecosistema consolidato (iCloud, Apple Watch, Galaxy Buds, Dex) difficilmente migrerà. Ma chi cerca un’esperienza di AI integrata e realmente utile, troverà nei Pixel 10 quel qualcosa che oggi manca altrove. È questo il terreno su cui Google scommette: non la competizione sul design o sulla scheda tecnica, ma sulla capacità di trasformare lo smartphone in un vero alleato quotidiano.

Il risultato finale è un prodotto che non impressiona al primo sguardo (se passate al 10 dal 9 magari compratelo color verde giada o blu indaco e non potrete sbagliarvi) ma potrebbe convincere nell’uso quotidiano (giudizio ipotetico basato sul Pixel 9 Pro XL, il nuovo nato non è ancora nelle nostre mani: le prevendite sono appena iniziate). I Pixel 10 si presentano come dispositivi che scelgono la via della continuità sul versante hardware e della continua evoluzione nel software, con qualche concessione al glamour — come lo zoom 100× — ma con l’obiettivo dichiarato di rendere l’AI indispensabile: le relative features sono gratuite per un anno sui modelli Pro, ma richiedono un abbonamento dopo il periodo promozionale.

Pixel 10 Pro nella colorazione Verde Giada (dal Google Store)